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Impianti cerebrali, Neuralink è solo l’ultimo di una lunga serie

Gli impianti cerebrali di Neuralink hanno come obiettivo quello di rivoluzionare il cervello tramite chip, ma ci sono anche altre realtà

Il chip Telepathy di Elon Musk è il più famoso, ma è in compagnia di decine di progetti in tutto il mondo, con decine di impianti celebrali per controllare linguaggio e movimento che salgono a centinaia considerando i test sugli animali.

Sono numerose inoltre anche le sperimentazioni condotte in Italia, dove si lavora per arrivare ai primi impianti all’interno della corteccia cerebrale umana.

Impianti cerebrali, Musk non è un pioniere

“La tecnologia messa dell’azienda di Musk è la meno invasiva e la più efficace finora sperimentata” – osserva il bioingegnere Silvestro Micera, che lavora fra la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e il Politecnico di Losanna – “L’idea degli impianti cerebrali è nata molti anni fa e il primo esperimento è stato pubblicato nel 2006 dalla rivista Nature”, aggiunge.

Un impianto cerebrale realizzato in Italia dalla SiNaps dell ‘Istituto Italiano di Tecnologia – IIT – Retididedalus.it

 

Da allora la tecnologia si è evoluta, passando dai rigidi aghi in silicio degli inizi agli elettrodi su base flessibile della Neuralink, meno invasivi: “Quanto tutto questo avrà un impatto clinico, lo vedremo in futuro”. In Italia impianti interni alla corteccia non sono stati ancora fatti, “ma – ha detto – ci stiamo muovendo in questa direzione”.

I maggiori progressi nei chip impiantabili sono arrivati negli ultimi dieci anni osserva Gian Nicola Angotzi, ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, co-fondatore e direttore scientifico della start-up Corticale. Qui è nato il nuovo chip compatto con oltre mille elettrodi.

“Fino a una decina di anni fa si usavano elettrodi impiantabili con pochi punti di misura“, basati su aghi lungo i quali erano posizionati gli elettrodi, collegati da un filo a un punto di registrazione esterno. Questa struttura complessa imponeva di limitare il numero dei punti di misura per rendere gli impianti meno invasivi.

Da dieci anni si segue un approccio diverso, ovvero che sullo stesso chip si trovano sia i contatti che rilevano l’attività dei neuroni, sia l’elettronica per amplificarli e leggerli.

Questo, prosegue Angotzi, ha portato a due sviluppi, entrambi in commercio e usati nella ricerca preclinica: da un lato i chip dell’americana Neuropixels, sviluppati in Belgio e basati su molti punti di misura lungo un ago delle dimensioni di un capello e con la parte che amplifica il segnale esterna; dall’altro ci sono i chip dell’italiana SiNaps, nata all’Iit per iniziativa di Angotzi, Luca Berdondini e Fabio Boi, ora confluita in Corticale. “Qui – dice il ricercatore – siamo riusciti a mettere sotto ciascun elettrodo l’elettronica di amplificazione che permette di leggere i dati con un’altissima risoluzione”.

A confronto con queste tecnologie, “Neuralink non ha fatto cose nuove. Usa elettrodi passivi impiantabili con l’elettronica di amplificazione fuori dall’impianto. La novità – osserva – è nel portare gli elettrodi su un substrato flessibile“, inoltre ha un robot per impiantare i chip in modo automatizzato.
La diretta concorrente di Neuralink, la Blackrok Neurotech, ha al suo attivo 19 anni di ricerca, 1.700 pubblicazioni scientifiche e una decina di impianti sull’uomo, praticati da circa otto anni a livello sperimentale su persone tetraplegiche, con una sorta di ‘tappetino’ di aghi riuniti in un centimetro quadrato, con 100 elettrodi. Musk, che “non è mai passato per procedure scientifiche standard, ha impiantato mille elettrodi, ma facendo oltre 60 fori nel tessuto. L’innovazione che si aspetta adesso da Neuralink – osserva Angotzi – è il vantaggio di registrare da mille punti di misura”.

Anche in Italia l’obiettivo è eseguire i primi impianti di chip all’interno della corteccia cerebrale. “Siamo ancora in fase preclinica, stiamo lavorando per portare questa tecnologia in ambito clinico, ma con i tempi dettati dalla normativa e i passi necessari per le autorizzazioni agli studi clinici. Per Musk è diverso: con le sue risorse infinite è arrivato a sperimentare sull’uomo in 6-7 anni”.

Giulia De Sanctis

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