La parola chiave per descrivere la poesia sonora è musicalità. Scopriamo in cosa consiste questo modo di intendere la poesia
Da sempre la musicalità fa parte della poesia. Basti pensare ai poemi omerici che, in passato, sono stati tramandati proprio grazie alla musicalità e trasformati in veri e propri canti grazie alla loro metrica.
In principio, questi capolavori dell’epica, non sono mai stati intrappolati nero su bianco su carta, ma cantati e raccontati attraverso la voce a un pubblico.
La poesia sonora riprende molto questo aspetto musicale e ne fa il suo vero e proprio punto di forza distintivo.
La poesia sonora è un tipo di espressione artistica in cui la vocalità fa da padrona e non sempre viene vincolata alla scrittura. La voce che narra la poesia viene accompagnata da gesti, espressioni e musica, tanto che il senso delle parole passa in secondo piano rispetto al loro suono e alla gestualità di chi le pronuncia.
Il poeta sonoro enfatizza i suoni che compongono le parole piuttosto che le parole stesse che sta pronunciando, tutto per riuscire a creare un ritmo e una musicalità uniche e rendere la performance efficace.
Ecco perché non si parla più di scrivere una poesia in questo caso ma di eseguirla o cantarla.
Il primo poema sonoro è stato eseguito nel 1915 da Hugo Ball e contiene i versi: “gadgi beri bimba/glandiri lauli lonni cadori”.
Come potete notare, non si tratta di parole di senso compiuto, ma di suoni. Infatti, la volontà del poeta è quella di dare vita ad una sinestesia: l’unione dei sensi che consente di visualizzare un’immagine grazie al suono delle strofe.
Udito e vista si mescolano, dando vita ad un’immagine creativa e personale all’interno della mente di chi ascolta.
La passione per gli aspetti sonori e fonetici delle parole, è stata coltivata a lungo anche dai futuristi nel Novecento, in cui ritroviamo l’uso di onomatopee, rumori e verbalizzazioni stratte che ci ricordano molto la dimensione della poesia sonora.
Questo perchè la parola scritta era troppo immobile per la concezione artistica dei futuristi, che si basava su un dinamismo ricco di forza e sfacciataggine, pronto a esondare e colpire l’ascoltatore invece di rimanere immobile e innocuo su carta, intrappolato in parole scritte.
Esiste un tipo di poesia che si basa sulla posizione del testo all’interno del foglio, che non viene disposto in linea come vorrebbero le regole canoniche di scrittura, ma secondo uno schema creativo.
Ad esempio, le parole possono essere disposte sul foglio per realizzare immagini o simboli, come nel caso di Easter Wings del poeta George Herbert, in cui le parole vanno a costituire la forma di un uccello che vola verso l’alto se guardate in orizzontale, mentre mostrano l’immagine di una clessidra se guardare verticalmente.
Come avviene nel caso della poesia sonora, anche nella poesia visiva si va oltre il significato letterale della parole, ci si astrae e si guarda tutto da un punto di vista più alto, ricercando una visuale di insieme in cui le parole si fondano con immagini o con i suoni.
L’obiettivo è sempre lo stesso: risvegliare nell’osservatore un significato profondo e personale, che va ricostruito piano piano mentre si vive l’esperienza poetica.
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