Scopriamo la vita, lo stile e le opere di uno dei più grandi poeti francesi di sempre: Stèphane Mallarmé
Tra i principali rappresentanti del Simbolismo francese accanto a Paul Verlaine e Arthur Rimbaud, Stèphane Mallarmé ha rinnovato la poesia attraverso un linguaggio sofisticato e talvolta enigmatico, il quale ha segnato nuove direzioni letterarie non solo in Francia, ma anche in tutta Europa. Vediamo la vita, lo stile e le opere di Mallarmé, uno dei poeti più importanti della letteratura francese e non solo.
Nato a Parigi nel 1842, Stèphane Mallarmé perde la madre quando ha solo cinque anni. Suo padre si risposa nel 1848 e ha altri quattro figli, mentre Stéphane viene cresciuto dai nonni materni. La morte della sorella Maria nel 1857 influenza i suoi primi scritti, caratterizzati da un’aura romantica. Sognatore e solitario, Mallarmé scopre e si appassiona a Baudelaire nel 1861, avviando così la sua carriera poetica. Dopo aver superato l’esame di maturità, si trasferisce in Inghilterra dove sposa nel 1863 a Londra la governante tedesca Cristina Maria Gherard. Inizia a insegnare inglese a Tournon, Besançon (1866) e Avignone (1867), ritirandosi di notte nel suo studio per scrivere.
Nel 1871, Mallarmé diventa insegnante a Parigi, uscendo dall’isolamento e stringendo amicizia con Manet, Zola, Verlaine e lo scrittore decadente Villiers de l’Isle-Adam. Oltre all’insegnamento, intraprende diverse collaborazioni:
– Partecipa al Parnasse Contemporain e lavora a un dramma lirico, Hérodiade.
– Fonda la rivista La Dernière Mode (L’Ultima Moda) nel 1874.
– Scrive Il pomeriggio di un fauno nel 1876.
– Traduce in francese i poemi di Edgar Allan Poe.
Nel 1884, il saggio di Verlaine “I poeti maledetti” e il romanzo di Huysmans “Controcorrente” mettono in luce il talento di Mallarmé. La sua casa in via Roma diventa un salotto letterario dove ogni martedì accoglie personaggi come Oscar Wilde e discepoli appassionati come André Gide, Paul Valéry e Paul Claudel, esercitando su di loro un’influenza notevole. Debussy mette in musica alcuni dei suoi versi.
Mallarmé subisce l’influenza del Parnassianesimo e di Baudelaire. Egli crede fermamente che l’unica via per accedere all’assoluto sia attraverso la poesia pura, un viaggio spirituale in cui il poeta è un sommo sacerdote e la letteratura ha il compito di creare un mondo ideale. Lo scrittore non deve replicare ciò che l’uomo già conosce, né tantomeno raccontare il mistero, ma evocarlo attraverso un linguaggio poetico estraneo al quotidiano. Mallarmé desidera:
– cogliere i legami segreti che uniscono le cose, utilizzando la suggestione per “dipingere non la cosa ma l’effetto che produce”;
– cancellare progressivamente la realtà per dare spazio all’assoluto.
Il testo poetico non può essere né chiaro né lineare: l’ermetismo è essenziale e costituisce la struttura stessa della poesia. La difficoltà nella creazione, l’impasse di fronte alla pagina bianca e all’accesso al mistero, provoca nel poeta un profondo malessere esistenziale, uno “spleen” (depressione, angoscia… lo “spleen” rappresenta una forma di disagio esistenziale), che diventa il principale soggetto dei versi di Mallarmé.
Mallarmé è il più baudelairiano tra i simbolisti. All’età di vent’anni, la lettura de “I Fiori del Male” gli apre nuove prospettive, mostrandogli il dramma del poeta diviso tra le costrizioni di una realtà detestabile e il sogno di un ideale inaccessibile. I suoi primi versi (1862-1864) si ispirano ai temi baudelairiani, ma la presenza di simboli e un lessico ricco li rendono tanto affascinanti quanto oscuri. È sempre sotto l’influenza di Baudelaire che Mallarmé scrive sette poemi in prosa nel 1864 e traduce Edgar Allan Poe.
Una composizione relativamente semplice e immediata come “Il Pomeriggio di un fauno” cattura l’interesse del musicista Claude Debussy, che nel 1894 si ispira a Mallarmé per il suo preludio al “Pomeriggio di un fauno”. A Parigi, nel 1912, il ballerino russo Nijinski crea una coreografia che unisce poesia e musica. Mallarmé ha così aperto la strada alla poesia moderna.
Mallarmé attribuisce un’importanza fondamentale alla lingua. I suoi versi sono arricchiti da parole rare o obsolete, reinterpretate nel loro significato etimologico derivato dal greco, latino, sanscrito e altre lingue antiche. Questo uso insolito del vocabolario, la sintassi articolata in modo non convenzionale e la disposizione sperimentale del testo sulla pagina sfidano le convenzioni e spingono il lettore a cercare un messaggio sfuggente e non immediatamente comprensibile.
Il ricorso costante al simbolismo, dove ogni termine carico di molteplici significati diventa elemento poetico, ha lasciato un’impronta duratura negli studi linguistici dei secoli successivi.
Autentico testamento spirituale del poeta, “Un colpo di dadi mai abolirà il caso” (1897) è formulato in un’unica e vasta frase che si dispiega su venti pagine, mimando tipograficamente il gesto del lancio dei dadi. È l’apice del simbolismo e, molto probabilmente, dell’intera poesia del Novecento. Mallarmé crea un oggetto poetico ideale destinato a interpretare, sia visivamente che udibilmente, lo sforzo del pensiero di fronte al caos universale.
In realtà, fin dal 1866, Mallarmé ha concepito non solo una semplice raccolta di versi, ma quello che potrebbe essere considerato “il libro”: una sintesi impersonale di tutti i libri possibili che possa incarnare il significato del mondo in modo definitivo e completo. Non è riuscito a realizzarlo, ma questo progetto è rimasto l’obiettivo ultimo della sua missione quasi sovrumana attribuita alla poesia.
Le ultime righe di “Un colpo di dadi mai abolirà il caso” esplicitano il legame tra il lancio dei dadi e la brevità fulminante del pensiero: “che veglia dubita rotola brilla e medita prima di arrestarsi a qualche punto ultimo che lo consacra Ogni Pensiero emette un Tratto di (una Giocata a) Dadi”.
Pubblicato in anteprima sulla rivista Cosmopolis nel 1897, Un colpo di dadi è stato presentato in una forma limitata dalle restrizioni editoriali della rivista, con il testo disposto su una singola pagina anziché su una doppia. In origine, l’opera doveva essere accompagnata dalle illustrazioni di Odilon Redon, ma il progetto rimase incompiuto a causa della morte di Mallarmé. L’edizione originale con le illustrazioni fu pubblicata solo nel 1914.
Considerato un frammento della grande opera sognata o un semplice esercizio di stile, questo poema, che Valéry definì come elevante “una pagina alla potenza di un cielo stellato” (Variété II), ha aperto la strada ai Caligrammi di Guillaume Apollinaire e a una vasta gamma di sperimentazioni nella modernità poetica, trasformando il testo stesso in un oggetto destinato allo spazio circoscritto della pagina bianca.
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