Vediamo la storia, lo stile e le opere più importanti di uno degli artisti più conosciuti e intriganti del ‘900 italiano: Marcello Gallian
Il ventesimo secolo in Italia ha rappresentato un’epoca di intensa creatività artistica, contraddistinta da una varietà di movimenti e correnti che hanno trasformato il panorama dell’arte e della cultura. Anche le due guerre mondiali e l’avvento del fascismo in questo senso hanno contribuito alla formazione, al mutamento delle idee degli artisti dello scorso secolo e dell’arte in generale. Numerosi artisti si sono particolarmente evidenziati e fatti strada nel panorama del Novecento per il loro contributo singolare e distintivo, e tra questi ne troviamo uno assolutamente da ricordare per via delle sue idee particolari, per la sua storia travagliata e il suo linguaggio artistico innovativo e in continuo mutamento: stiamo parlando di Marcello Gallian, uno scrittore, pittore, giornalista e drammaturgo di grande impatto nell’Italia dello scorso secolo. Ecco tutto quello che bisogna sapere a proposito di questo grande artista del Novecento italiano.
Marcello Gallian viene al mondo a Roma il 6 aprile 1902 e si spegne qui il 19 gennaio 1968. La sua esistenza è segnata sin dall’adolescenza dall’anticonformismo e da una costante ricerca di autonomia, anche rispetto alla famiglia (suoi genitori erano un diplomatico e Console Generale di Turchia) e ai modelli di vita borghesi e agiati. Tuttavia, quando la famiglia precipita nell’oblio a causa della guerra in Libia e perde improvvisamente tutti i suoi beni, Marcello viene mandato in collegio, nel convento di Santa Trinità a Firenze, dove prende i voti semplici. All’età di diciassette anni, abbandona la vocazione ecclesiastica per seguire D’Annunzio a Fiume.
Entusiasta delle posizioni fasciste, si unisce ai sansepolcristi e partecipa alla marcia su Roma (1922), sperando in una rivoluzione che riscattasse “il popolo” dalla borghesia corrotta ed elitaria. Interessato ai fervidi movimenti intellettuali d’avanguardia dell’Europa contemporanea, Gallian fonda la Compagnia del Teatro dei Giovani e si impegna attivamente nel Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, dove mette in scena “La casa di Lazzaro” nel febbraio del 1929, ottenendo un discreto successo di pubblico e critica.
Tra le sue opere teatrali si annoverano “Tre atti”, rappresentata in tutta Italia dalla Compagnia Tamberlani, e successivamente Incidente al Vulcano, che gli vale il Premio Napoli. Massimo Bontempelli, tra i primi critici a riconoscere il suo talento, lo accoglie nella sua rivista “900” e tra i due si instaura una collaborazione autentica, come testimonia la prefazione scritta da Bontempelli per il Dramma nella latteria (1928). In questo periodo, Gallian pubblica i suoi primi romanzi, tra cui Vita di uno sconosciuto del ’29 e Pugilatore di paese, vincitore del Premio Mediterraneo del ’32.
Ricordato come un “ribelle” della letteratura del nostro Paese degli anni Trenta, Gallian non si sottomette nemmeno alle regole imposte dal Fascismo e sfida il Regime con “Colpo alla borghesia”, dove affronta temi scabrosi e adottando modelli esistenziali ambigui e provocatori.
Nel 1934 si aggiudica ex aequo il Premio Viareggio con “Comando di tappa”, seguito dalla pubblicazione de “Il soldato postumo” e, nel 1935, di “Bassofondo”. Tuttavia, il romanzo, censurato da Mussolini stesso, dopo lunghe trattative, viene finalmente pubblicato, ma privato degli ultimi capitoli (che trattavano di prostitute) e ribattezzato “In fondo al quartiere” (1936), causando profonda amarezza a Gallian. Il Fascismo al potere appare a lui solo una pallida ombra dell’ideale lontano in cui aveva creduto. Sebbene il suo corpo sia ormai semiparalizzato, la sua mente rimane lucida e riprende a scrivere. In questa fase prolifica vedono la luce “Tre generazioni” e successivamente “Il monumento personale” (1939), “Gente di squadra” (1941) e “Alba senza denaro” (1943).
Dopo la guerra, rimane isolato dal mondo intellettuale e artistico, ma non si arrende e continua a scrivere, spesso sotto pseudonimo, e si avvicina alla pittura (inizio anni Quaranta). Da allora, la pittura diventa per Gallian il suo linguaggio artistico preferito, attraverso il quale esprime un ideale di ribellione e rinascita anti-borghese, con un approccio espressionista caratterizzato da deformazioni dei corpi e della realtà contemporanea. Amico devoto di scrittori come Bontempelli, Ungaretti, De Feo e Bilenchi, dopo la guerra si unisce all’ambiente pittorico romano del tonalismo e dell’espressionismo figurativo, includendo artisti come Scipione, Avenali, Guttuso, Zavattini e Fazzini, con cui intrattiene rapporti talvolta conflittuali, e Afro. L’influenza di questi artisti rende la sua pittura più intensa, cromatica e deformante.
Periodi difficili e intrisi di profonda tristezza, come ricorda lo stesso Gallian, accompagnano la sua pittura. Durante il periodo di “Alla luce delle candele”, intraprende i suoi primi studi sul colore e sulle forme, avviando il percorso che lo condurrà verso una tensione cromatica intensa e un’espressività brutale e dolorosa, marchi distintivi della sua pittura.
Il tema predominante nella pittura di Gallian sono le donne “perdute”: non convenzionali, deformate, prostitute, prive di speranza. Questo stesso tema si ritrova nei suoi libri dei periodi più prolifici.
Dopo una grave malattia che segnò profondamente l’artista, si verifica un repentino e appassionato ritorno alla fede cattolica (è interessante notare che da giovane, mentre studiava vicino a Firenze in un convento, fuggì a Fiume all’età di 17 anni per seguire Gabriele D’Annunzio). Con fervore, nella chiesa di S. Claudio al Corso, accompagnato dal suo primogenito, trascorreva ore adorando il Santissimo Sacramento. Con grande attenzione, meditava sui colori e sulle composizioni della Crocifissione e della Deposizione, immergendosi in una continua oscillazione tra realtà e visione.
Negli anni ’30, Gallian, dopo aver seguito per un certo periodo come inviato l’attività e la vita di un circo straniero a Roma, rimase affascinato da quel mondo unico, dove la normalità quotidiana si trasformava nella finzione serale dello spettacolo. I clown, le donne, i ginnasti, i domatori si trasfiguravano attraverso l’intensità del colore e le forme distorte.
La sua famiglia era numerosa: aveva, infatti, una moglie e sei figli. Ci troviamo, a questo punto della storia, alla fine degli anni ’50 e ’60: le sue ultime opere pittoriche diventano sempre più intime e crudeli, e contribuiscono a svelare l’animo di un uomo che aveva lottato incessantemente, ma che stava ormai rallentando il passo. Il film della vita si ferma, riavvolgendosi con dolore, amarezza e solitudine, senza alcuna traccia di rimpianto.
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