Nei pazienti affetti dal morbo di Parkinson il microbiota intestinale risulta particolarmente compromesso: agire su di esso potrebbe aiutarli.
Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa conosciuta soprattutto per i tremori incontrollabili e i movimenti convulsi che provoca. Tale patologia affligge centinaia di migliaia di persone: solo in Italia sono circa 300mila i pazienti che ne soffrono e questa cifra è destinata ad aumentare. Secondo le stime dell’ospedale Niguarda, ad esempio, si parla di un aumento di 6mila pazienti all’anno, alcuni colpiti ancora in età lavorativa.
Ed è proprio la casistica in aumento di queste malattie (che si possono contrastare anche facendo scorta di magnesio) che spesso porta la ricerca a concentrarsi sul miglioramento dei processi diagnostici e soprattutto terapeutici. Numerosi studi si sono ad esempio concentrati sulla correlazione che intercorre tra alterazione del microbiota intestinale e insorgenza della malattia neurodegenerativa. Ma come è possibile che ci sia questa correlazione?
Parkinson e microbiota intestinale alterato: esistono strette correlazioni tra i due
Per capirlo bisogna partire da questo elemento: la malattia di Parkinson è provocata dall’errato ripiegamento della proteina alfa-sinucleina, che si forma in grumi nella parete intestinale. Dall’intestino, attraverso il nervo vago, tali proteine riescono a raggiungere il cervello. E ad attaccare i neuroni dopaminergici con una serie di conseguenze gravi per l’organismo.
Per la stessa ragione, ad esempio, uno studio del Karolinska Institutet di Stoccolma ha rilevato una diminuzione del rischio di ammalarsi di Parkinson del 40% in pazienti con recisione del nervo vago. Un altro studio dell’Università dell’Alabama di Birmingham, invece, ha evidenziato la presenza di famiglie divergenti di Lactobacillaceae, Bifidobacteriaceae, Christensenellaceae, Pasteurellaceae e molte altre nel tratto intestinale dei malati di Parkinson. A riprova di come la flora batterica e le sue alterazioni possano incidere sull’insorgenza del morbo.
Può un trapianto di feci nell’intestino curare il Parkinson? Cosa dice la scienza
Partendo da questi presupposti un gruppo di ricercatori belgi, capitanati dall’Ospedale Universitario di Ghent, ha messo a punto una terapia che ha dell’assurdo. Si tratta del trapianto di feci prelevate da pazienti sani nell’intestino tenue dei pazienti malati. Tale trapianto, che avviene tramite il ricorso a sondini che passano dal naso, è stato effettuato su un gruppo di soggetti test.
Lo studio ha coinvolto 46 persone, tutte di età compresa tra 50 e 65 anni e agli stadi iniziali della malattia, suddivise in un gruppo di controllo di 24 persone e in un gruppo di tester di 22. Il trapianto fecale è avvenuto nell’arco di un anno, tra dicembre 2021 e dicembre 2022, con test e analisi di controllo trimestrali avvenute tramite il Movement Disorders Society-Unified Parkinson’s Disease Rating Scale. Questa scala viene utilizzata per valutare e classificare le capacità motorie dei soggetti affetti da morbo di Parkinson.
I risultati del trapianto sono promettenti: potrebbe essere una cura sicura, efficace ed economica
Le rilevazioni cliniche nell’arco di questo periodo hanno dimostrato qualcosa di strabiliante. Il miglioramento dei sintomi nei pazienti tester si è attestato su 5,8 punti in più rispetto ai 2,7 punti raggiunti nei soggetti placebo (cui sono state impiantate le proprie feci).
A commentare il risultato ci ha pensato il professor Roosmarijn Vandenbroucke, affermando: “Il nostro studio fornisce indizi promettenti sul fatto che l’FMT può essere un nuovo prezioso trattamento per la malattia di Parkinson. Sono necessarie ulteriori ricerche, ma offrono un modo potenzialmente sicuro, efficace ed economico per migliorare i sintomi e la qualità della vita di milioni di persone affette da malattia di Parkinson in tutto il mondo”.