Dopo più di trent’anni, arriva la prescrizione nel processo Borsellino per i poliziotti sospettati di aver depistato le indagini.
Dopo più di trent’anni e numerosi processi e indagini che si sono susseguiti, la strage di Via D’Amelio resta un mistero irrisolto, nascosto dietro il velo della prescrizione che, dopo 32 anni (per essere precisi), impedisce ancora una volta di giungere ad una condanna per quello che è stato definito “il più grave depistaggio della storia repubblicana”.
Il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse di calunnia aggravata a carico del funzionario di polizia Mario Bo e dell’ispettore Fabrizio Mattei, membri del pool investigativo che si occupò delle indagini sulle stragi mafiose del ’92. Anche l’agente Michele Ribaudo, inizialmente assolto per mancanza di dolo, è stato coinvolto nella sentenza di prescrizione.
La scelta della prescrizione non implica un’assoluzione nel merito, ma indica piuttosto un’incapacità di giungere a una sentenza definitiva. Secondo l’accusa, i tre investigatori avrebbero manipolato le prove per creare una falsa narrazione dell’attentato, costringendo testimoni come Vincenzo Scarantino, un piccolo criminale del quartiere Guadagna, a incolpare membri della mafia per un crimine di cui non erano responsabili.
I poliziotti coinvolti nella strage in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e altre cinque persone, che facevano parte della sua scorta, sono stati accusati di aver manipolato le prove e costruito una narrazione falsa riguardo all’attentato di Via D’Amelio. Sotto la supervisione del capo della Mobile Arnaldo La Barbera, i tre investigatori avrebbero orchestrato un depistaggio delle indagini, facendo apparire la strage come opera della mafia e coinvolgendo personaggi come Vincenzo Scarantino, un piccolo criminale locale, per testimoniare a favore di questa versione.
Questo depistaggio avrebbe portato ad un’indagine distorta e avrebbe impedito di individuare i veri responsabili dell’attentato. Sebbene l’accusa non abbia potuto dimostrare un coinvolgimento diretto dei poliziotti nell’attentato stesso, il loro ruolo nel manipolare le prove e influenzare le testimonianze è stato considerato grave abbastanza per essere oggetto di procedimenti legali.
Sebbene l’aggravante mafiosa sia stata esclusa, la responsabilità degli imputati è stata riconosciuta, seppur con riserve. L’avvocato Fabio Trizzino, rappresentante della famiglia Borsellino, ha accolto con soddisfazione la sentenza, definendola un passo avanti nella ricerca della verità sulla strage di Via D’Amelio, poiché, nonostante la prescrizione per le accuse di calunnia aggravata, i giudici hanno confermato il ruolo dei tre imputati nel depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio.
Ma rimane l’amarezza per il fatto che solo tre persone abbiano pagato per un crimine che coinvolgeva molte altre figure, molte delle quali sono sfuggite alla giustizia, dei “convitati di pietra” come li ha definiti dall’avvocato della famiglia Borsellino.
La sentenza rappresenta una tappa importante nel lungo percorso per ottenere giustizia per la strage di Via D’Amelio. Ad ogni modo, resta il rammarico per l’impunità di altri responsabili che, nonostante le evidenze, sono rimasti al di fuori del processo giudiziario. Bisognerà attendere di leggere le motivazioni della sentenza emessa dai giudici e PM e avvocati decideranno se fare o meno appello.
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