Fare il prete richiede una certa spiritualità ma è ovvio che per vivere sia necessario avere un sussidio mensile.
Nel panorama economico italiano, la figura del prete suscita curiosità non solo per il ruolo spirituale che ricopre all’interno della comunità ma anche per gli aspetti economici che caratterizzano la sua esistenza. La remunerazione di un sacerdote, infatti, si discosta notevolmente da quella di un lavoratore comune, poiché non è determinata da un salario fisso mensile ma dipende da diverse fonti e modalità.
I preti ricevono una sorta di sostentamento economico principalmente attraverso il cosiddetto “stipendio” proveniente dalla diocesi a cui appartengono. Questa somma di denaro non è paragonabile a uno stipendio laico in quanto è più correttamente intesa come un contributo per le necessità basilari della vita quotidiana del prete.
L’ammontare di tale contributo può variare significativamente da una regione all’altra dell’Italia, influenzato dal costo della vita locale e dalle capacità economiche della diocesi. Oltre a ciò, i sacerdoti possono beneficiare delle offerte raccolte durante le celebrazioni liturgiche e gli eventi sacramentali come matrimoni e battesimi. Queste offerte rappresentano una fonte importante ma variabile di sostentamento che dipende molto dalla generosità dei fedeli e dalla frequenza delle cerimonie officiate.
Un prete al primo incarico guadagna circa 1000 euro al mese, senza tredicesima o quattordicesima. Un parroco percepisce 1200 euro mensili, mentre un vescovo arriva a 3000 euro al mese. I cardinali guadagnano 5000 euro mensili. Il Papa, invece, ha uno stipendio variabile; Papa Ratzinger riceveva 2500 euro al mese, mentre Papa Francesco ha scelto di lavorare gratuitamente, pur avendo accesso al fondo dello Ior per le necessità.
Oltre agli stipendi, i sacerdoti possono avere guadagni aggiuntivi se svolgono altri lavori, come insegnare religione. I preti militari hanno uno stipendio più alto, di 4000 euro mensili. Dal 2021, Papa Francesco ha ridotto gli stipendi religiosi del 10% per le cariche elevate e del 3% per i livelli inferiori. Le suore e i frati non hanno uno stipendio fisso e devono svolgere altri lavori per mantenersi, ma possono accedere su base volontaria a un fondo di 1000 euro mensili per le loro attività.
Un altro aspetto da considerare è l’alloggio: molti preti vivono in canoniche o alloggi forniti dalla Chiesa, il che riduce notevolmente le loro spese abitative. Inoltre, possono avere accesso a pasti condivisi o a mense ecclesiastiche che ulteriormente alleggeriscono il peso delle spese quotidiane.
Nonostante queste particolarità, è importante sottolineare che la vocazione sacerdotale non viene intrapresa per motivazioni economiche ma per una profonda chiamata spirituale al servizio dei fedeli e alla diffusione del messaggio cristiano. Pertanto, mentre l’aspetto finanziario supporta materialmente l’esistenza dei preti permettendo loro di dedicarsi pienamente alla loro missione pastorale senza gravi preoccupazioni economiche, rimane secondario rispetto alla loro principale aspirazione: guidare spiritualmente le comunità affidate alle loro cure.
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