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Edoardo Leo: liberiamoci insieme dal maschilismo inconscio

Edoardo Leo è il protagonista della copertina del nuovo numero di Vanity Fair, e l’argomento non potrebbe essere più attuale.

Con l’uscita del suo nono film da regista, “Non sono quello che sono,” un’interessante rivisitazione dell’“Otello” di Shakespeare, il noto attore affronta questioni delicatissime come il maschilismo inconsapevole e i comportamenti patriarcali, elementi che anche lui ha faticato a riconoscere nella sua vita. Allo stesso tempo, esplora relazioni familiari complesse, dalla sua esperienza con i figli al rapporto con il padre, interrotto per troppo tempo. Questo numero di Vanity Fair, tuttavia, non si limita a raccontare la sua storia, ma presenta anche un’importante inchiesta sui giovani e sulla violenza di genere, sollevando interrogativi difficili ma necessari.

Edoardo Leo, parlando a Vanity Fair, ha sottolineato come la preparazione per il suo film abbia acceso una luce sul suo maschilismo inconsapevole, portandolo a riflettere su attitudini e comportamenti che prima non aveva identificato. “Quando ho visto un ragazzo in un incontro di pugilato che spingeva il suo avversario, abbiamo riso tutti, ma non mi sono mai chiesto come potesse essere vissuto quel momento da una ragazza che sfilava in costume. È strano come certi comportamenti siano diventati normali, ma non dovrebbero esserlo,” dice Leo.

La sua rivelazione è un invito a riesaminare le norme sociali. Inoltre, con un evidente senso di responsabilità, ricorda un episodio con sua figlia di 14 anni, spiegando quanto sia fondamentale per le giovani donne conoscere il loro valore: “Le ho detto che nessuno deve dirle come truccarsi o come vestirsi, nemmeno io,” racconta. Ma poi si ferma a riflettere. Perché non ha mai posto domande simili a suo figlio, ora diciottenne? Il divario nella sensibilità nei confronti dei due generi è un tema che continua a ricorrere nelle sue considerazioni.

La battaglia dei giovani contro la violenza di genere

Oltre a Leo, il numero di Vanity Fair si sofferma su un’inchiesta della Fondazione Libellula, che ha esaminato le opinioni e le esperienze di 1.592 adolescenti tra i 14 e i 19 anni. I risultati sono allarmanti: uno su cinque di loro confonde amore e controllo, segnando un campanello d’allarme per la società. Questa indagine evidenzia quanto sia vitale il dialogo aperto con i giovani, aiutandoli a comprendere la differenza tra relazioni sane e dinamiche tossiche.

“Quando sento di ragazzi che pensano di possedere le loro compagne, mi preoccupo profondamente,” afferma Leo. La consapevolezza che i ragazzi possono perpetuare gli stessi schemi che non vogliono vedere nelle ragazze è una presa di coscienza che deve avvenire. La ricerca fa sorgere la necessità di programmi educativi che incoraggino discussioni su rispetto, consenso e onestà nelle relazioni.

L’azione e l’arte: cambiare la narrazione

In un momento particolarmente inquietante, Leo ricorda quando si trovava in tournée teatrale e ha appreso dell’omicidio di Giulia Cecchettin. “Era impossibile continuare come se nulla fosse. Ho deciso di trasformare il mio spettacolo,” afferma. Ha integrato passaggi dal monologo di Franca Rame sullo stupro, affrontando frontalmente le domande che le donne vittime di violenza sessuale devono affrontare in tribunale. Le parole di Leo non solo cercano di educare, ma anche di sensibilizzare i suoi spettatori, invitandoli a uno sguardo critico.

“L’arte è un potente strumento di cambiamento,” sottolinea, e questo è un messaggio importante per tutti. L’uso della sua piattaforma come attore e regista per sfidare norme e costruire consapevolezza è un passo significativo. E mentre l’industria del cinema e del teatro ha un ruolo cruciale, è fondamentale che anche il pubblico partecipi attivamente alla conversazione. Solo così si potrà veramente lavorare verso un cambiamento duraturo.

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