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Robbie Williams: il vortice della droga e la disforia da boyband

La straordinaria era delle boyband ha segnato profondamente la cultura pop degli anni ’90, portando gioventù e adrenalina nei cuori di milioni di fan.

Tuttavia, dietro al glamour e al successo si celano storie spesso trascurate, che rivelano le difficoltà e le pressioni affrontate da questi giovani artisti.

Il recente lancio del documentario “Boybands Forever” della BBC ha messo in luce non solo il fenomeno di queste formazioni musicali, ma anche gli effetti collaterali sul benessere psicologico dei loro membri. Tra le prime voci a esprimere il proprio parere c’è Robbie Williams, che per chi non lo sapesse, è un ex membro dei Take That. Attraverso un post su Instagram, l’artista ha risposto alle dichiarazioni di Nigel Martin Smith, storico manager della band. Smith ha accusato Williams di aver cercato di giustificare il suo uso di sostanze attraverso un percorso tortuoso di auto-analisi che, a detta dell’ex manager, derivava dalle restrizioni che la vita in boyband imponeva. Williams, da parte sua, ha affermato che la responsabilità del suo consumo di droghe non è attribuibile all’ambiente in cui è cresciuto musicalmente e ha dipeso solo da lui. Ha spiegato che le sue scelte sono parte di una lotta personale contro le sfide della vita da celebrità e che avrebbe affrontato gli stessi problemi, anche in una vita “normale”, come tassista. La sua sincerità ha acceso il dibattito sull’impatto delle pressioni sociali e della fama sulla salute mentale e sul percorso di auto-terapia che molti artisti devono affrontare.

Il dito puntato sulla cultura delle boyband

Nel suo messaggio, Robbie ha messo in evidenza un particolare “schema” comune tra coloro che hanno vissuto l’esperienza di essere parte di una boyband. Racconta di come molti giovani talenti si uniscano a queste band, per poi trovarsi in un contesto di enorme successo che spesso esplode in una spirale di malessere e conflitti interiori.

Robbie Williams ed il passato di eccessi- Foto: Instagram @robbiewilliams- www.retididedalus.it

Williams riflette sul dolore e la confusione che possono derivare da una fama così precoce. Alcuni, fortunatamente, riescono a trovare una strada per uscire dai propri demoni, ma molti altri non trovano mai la via d’uscita, rimanendo intrappolati in un ciclo di sofferenza. Utilizza il termine ‘disforia’, che descrive quegli stati di umore complessi e difficili, rendendo tangibile il carico emotivo che portano e che spesso rimane invisibile a chi è al di fuori di queste dinamiche.

Riflessi di un malessere condiviso

Il malessere emotivo e psicologico non è certo un tema nuovo, anche se il documentario ha riacceso l’attenzione. Williams fa notare quanto la pressione della fama e l’ideale di perfezione, amplificato dai social media, non facciano altro che aumentare il carico già pesante da sopportare. Le esperienze di artisti come Shawn Mendes e Sangiovanni dimostrano che la lotta contro la salute mentale non conosce confini. Mentre i social di oggi forniscono un accesso immediato alle celeb, non esiste necessariamente un modo per evitare l’isterismo e le aspettative irrealistiche che ruotano attorno a loro. I membri dei Take That hanno condiviso storie di lotte personali, come il tentato suicidio di Howard Donald e la bulimia di Gary Barlow, rivelando come le conseguenze siano estese e complesse.

Le esperienze di un tempo lasciano un imprinting indelebile, da cui tanti cercano di uscire, mentre altri continuano a combattere le stesse battaglie senza sveglia. Questo contesto rende il documentario “Boybands Forever” non solo un viaggio nostalgico nei ricordi, ma anche un monito sulle reali sfide che nascono dalla meravigliosa ma pericolosa vita delle boyband. La testimonianza di Robbie Williams e il coraggio di affrontare temi così delicati aprono nuove finestre sul mondo delle celebrità e sulla vulnerabilità che spesso si cela dietro il successo.

Rossana Muraca

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